Intelligenza e cultura.
Intelligenza. Cultura.
Oggi in tanti pensano che siano sinonimi.
Qualcuno percepisce una differenza, ma sfumata, anzi addirittura solo formale.
Solo gli ignoranti le vedono ben divise, ma la loro è una posizione di comodo.
Le due paiono essere così collegate che qualche studioso ipotizza il Quoziente Intellettivo di persone che non hanno fatto alcun test, in base al titolo di studio!
Esiste dunque un legame fortissimo.
O forse no?
In realtà basterebbe notare le tante eccezioni:
esistono persone intelligenti poco acculturate (si pensi al geniale matematico autodidatta Ramanujan) e analfabeti funzionali che arrivano a occupare cattedre universitarie (io stesso ne ho conosciuti, purtroppo).
E' necessario però capire se si tratta di anomalie statistiche oppure no.
Per comprendere meglio il legame fra intelligenza e cultura, può essere interessante guardare al passato.
Siamo intorno al 370 a.C. e il grande Platone scrive un capolavoro: Fedro.
Verso la fine di questo dialogo, il geniale Socrate riporta il mito di Theuth (Thot), divinità egizia della sapienza.
Abbiamo dunque tre personaggi di grande importanza.
Vale la pena riportare almeno uno spezzone, pagando rispettosamente omaggio ai tre grandi:
<<Socrate – Ho sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l’uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto. Re dell’intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell’Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all’alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani piú sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”.
E' mai possibile?
La scrittura annebbierebbe l'intelligenza?
Socrate e Fedro confermano.
Persino Platone distingue nettamente conoscenza da sapienza.
Interessante però notare come quest'ultimo abbia lasciato (probabilmente) tutte le sue idee in degli scritti.
Gli egiziani stessi portavano un rispetto reverenziale per la scrittura: hieroglyphikos in greco significa "incisioni sacre" e si appoggia probabilmente al nome che gli egiziani stessi davano alla scrittura monumentale: medu netjer (pronuncia convenzionale) ovvero "parole di Dio".
La scrittura è dunque utilizzata e rispettata: il suo uso pratico è incontestabile e i pregi vincono sui difetti.
Permane però l'idea che la mente si impigrisca e che la cultura da sola sia dannosa.
Come verificare questa idea?
Nel 1300 a.C. in Nord Italia si sviluppa la Cultura di Canegrate: per quel che ne sappiamo è il primo popolo celtico della storia.
I celti si diffonderanno in Germania, Francia e in tutto il centro Europa.
Giungeranno in Spagna, Inghilterra e -tardivamente- in Irlanda che preserverà questa cultura più di ogni altro paese.
Ancora dopo arriveranno fino in Turchia.
La società dei celti si appoggiava incondizionatamente ai druidi, sacerdoti con un potere di fatto superiore a quello dei re.
Questo ruolo poteva essere mantenuto solo grazie a un'eccezionale sapienza, frutto di un tirocinio ventennale
(detto fra noi, quando sento dei neo-pagani definirsi "druidi moderni" dopo aver letto un paio di libri, mi viene mal di stomaco).
Un druido doveva essere preparato nei più disparati campi del sapere: dall'erboristeria, alla religione, alla poesia, alla legge, all'astronomia...
La cosa interessante è che tutte queste conoscenze erano trasmesse oralmente.
Essi conoscevano la scrittura, ma si rifiutavano categoricamente di usarla.
Come mai?
Per mantenere il segreto?
Non solo: anche qui troviamo l'idea che la scrittura possa impigrire la mente.
Considerando che i bardi (rispettati, ma comunque inferiori ai druidi) dovevano sapere almeno 350 lunghi racconti a memoria...
Stupefacente.
Oggi in molti trovano incredibile questa memoria.
Forse davvero la scrittura è dannosa?
In un certo senso... sì.
La scrittura è ovviamente utile, ma rende non necessaria la memoria e questa si atrofizza.
La Natura ha decretato che ciò che non serve può essere abbandonato.
Come è la situazione oggi?
Diversi studi suggeriscono che il Q.I. medio stia calando a una velocità impressionante, sempre maggiore.
Come mai?
Qualcuno ipotizza che possa essere un fattore legato all'allungarsi della vita, ma anche limitandosi ai giovani, il risultato è simile.
Forse la cosa è dovuta a più fattori.
La diffusione della scrittura? Francamente la amo incondizionatamente e non posso vederla come negativa.
Se mai è il metodo di studio: affidarsi solo a essa è dannoso.
Il calo di popolarità (e qualità) della Filosofia, il progressivo allontanarsi dalle religioni... questo spinge l'uomo a non ragionare.
La Scienza ha fatto passi da gigante, ma la massa studia passivamente i nuovi dati, trasformandoli in dogmi anche più granitici di quelli religiosi (che venivano sempre sviscerati dalla Teologia).
Non solo, c'è anche un problema più insidioso.
Horkheimer e la Scuola di Francoforte hanno fatto notare che l'universalismo scientifico, enfatizzando la dimostrazione, analizza solo una parte della realtà e perde la visione d'insieme, perciò finisce per essere assorbita dal quadro politico.
Se una persona crede che la Scienza sia pura e libera da condizionamenti... ha urgente bisogno di aprire gli occhi.
Ultimamente poi abbiamo assistito alla diffusione di una scoperta rivoluzionaria, il cui impatto è paragonabile a quello della scrittura:
internet!
La conoscenza del mondo, disponibile sempre, ovunque, in pochi secondi.
La Natura di nuovo si fa sentire: a cosa serve studiare per ore su polverosi volumi, se ogni dato è reperibile all'istante, senza fatica?
L'intelligenza serve ancora?
Sì.
I dati vanno elaborati e ancor prima bisogna fare una cernita.
Chiunque può scrivere su internet: il dato vero affoga in un oceano di informazioni parziali, imprecise o false.
La società non aiuta, dando popolarità a wikipedia e altri siti colmi di bugie (talvolta create ad arte per manovrare l'opinione pubblica).
Pericoloso.
Quale la conclusione, dunque?
Intelligenza e cultura sono collegati?
Io penso che la cultura sia la palestra dell'intelligenza.
Ci sono persone che hanno un gran fisico anche senza allenarsi e altre poco dotate che -impegnandosi- migliorano sensibilmente.
Esistono però individui che comprano pesi o si iscrivono in palestra, senza poi allenarsi.
Lo stesso vale per la mente?
Milioni di persone con lo sguardo perso in uno schermo sono la risposta...
e non è una bella risposta.
§M§