La pena di morte e il demone con 10 teste.
Pena di morte: uno dei temi più scottanti degli ultimi secoli!
Detrattori e sostenitori hanno dei validi argomenti che vale la pena analizzare.
Per iniziare, cerchiamo di capire quanto è esteso il fenomeno.
Osservando i dati aggiornati al 31 dicembre 2017, la situazione è la seguente:
-104 paesi hanno abolito la pena di morte per qualunque tipo di reato;
-30 paesi sono abolizionisti de facto: non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte;
-57 paesi mantengono in vigore la pena di morte;
-7 paesi l'hanno abolita, salvo casi eccezionali (crimini di guerra).
Negli USA il numero di condannati è drasticamente diminuito (tranne in Georgia, dove è quasi raddoppiato).
Parlando di area americana, solo altri tre paesi nella regione (Barbados, Guyana, Trinidad e Tobago) hanno emesso sentenze capitali nel 2016. Due paesi dell’area caraibica (Antigua e Barbuda, Bahamas) hanno commutato le loro ultime sentenze capitali, svuotando così i bracci della morte.
Passando ad altre zone, notiamo un calo delle sentenze del 73% in Pakistan!
Fa da contraltare il vertiginoso aumento delle esecuzioni nell'intera area pacifico-asiatica: +85%!
Bisogna aggiungere che Cina , Malesia e Vietnam non forniscono dati certi.
Le Maldive hanno ripreso le esecuzioni dopo una pausa di 60 anni, mentre le Filippine hanno reintrodotto la pena di morte.
Si registra un incredibile aumento anche nell'Africa sub-sahariana (+145%): questo è dovuto principalmente alla Nigeria che ha triplicato le sentenze.
In Vicino Oriente e Africa del Nord -al contrario di quel che si crede- le condanne sono diminuite del 28%.
L'Iran guida la classifica, ma ha comunque registrato un calo del 42%.
In Europa, segnaliamo che la Bielorussia ha ripreso le esecuzioni, dopo quasi un anno e mezzo di interruzione.
Nell’intera regione, solo Bielorussia e Kazakistan continuano a mantenere la pena capitale nel loro sistema legislativo.
Il fenomeno è dunque diffuso, con notevoli oscillazioni.
La domanda è: quanto è efficace la pena di morte? E' moralmente lecita?
La qustione è cara specialmente a noi italiani: il primo stato ad abolirla fu il Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786.
Sull'efficacia è impossibile esprimersi.
Nei paesi dove vige la pena di morte, spesso vi è un alto tasso di criminalità, ma come inquadrare questo dato?
Si tratta di una causa o di una conseguenza?
A mio avviso, entrano in gioco troppi fattori socio-culturali per poter parlare di correlazione diretta.
Più interessante un altro dato: in Italia nel 68% dei casi i detenuti delle carceri -una volta liberati- tornano a delinquere.
Prevedibile: l'ambiente carcerario non è "salubre": condizioni talvolta estreme, contatto con delinquenti di ogni tipo e con culture criminali diverse (circa un terzo dei carcerati è rappresentato da stranieri, ma si arriva a picchi del 60% in alcune regioni).
Dati alla mano, questo metodo non funziona.
La pena di morte -ovviamente- azzera il tasso di recidiva.
E' l'unica soluzione?
No.
Lentamente si stanno facendo strada punizioni alternative che paiono avere un'efficacia migliore (tasso di recidiva: 19%).
Non si parla solo di mezzi dolci, tanto cari ad alcuni modernisti: particolarmente efficace pare una forma di carcere breve, ma estremamente duro.
Si tratta comunque di soluzioni allo stadio embrionale, quindi è saggio aspettare prima di formulare un giudizio definitivo.
D'altro canto, dobbiamo chiederci: può lo Stato uccidere un colpevole?
Storicamente parlando, la risposta è sempre stata sì.
Assassini, ladri, sovvertitori dell'ordine sociale, adulteri, omosessuali e blasfemi sono quasi sempre stati considerati estremamente pericolosi.
Sotto questo punto di vista è anche interessante notare come, negli ultimi 40 anni circa, la morale occidentale sia drasticamente cambiata!
Nell'antica Grecia la pedofilia era accettata quasi ovunque, mentre un'accusa di blasfemia poteva costarti la vita: queste idee sono sopravvissute per millenni!
Oggi paiono assurde!
Questo ci mostra come il discorso morale vada affrontato con le dovute cautele e ci permette di capire che non è semplice rispondere alla domanda originale: può lo Stato uccidere un colpevole?
Ovviamente chi uccide un essere umano è un assassino e questo porta a dei dubbi morali e filosofici notevoli.
D'altro canto, è lecito uccidere una persona per salvarne tante?
Philippa Ruth Foot ha analizzato il problema nello specifico, proponendo il famoso dilemma del carrello.
Nella versione originale, un'autista di un tram senza freni deve decidere se proseguire sulla rotaia dove solo legati cinque malcapitati o se azionare un cambio e spostarsi volontariamente dove c'è una sola persona immobilizzata.
Esistono numerose varianti che rendono il problema etico ancora più spinoso.
Questo dilemma ci permette di capire meglio le argomentazione dei sostenitori della pena di morte.
Eliminare una persona per salvarne tante.
In questo caso si parla pure di un colpevole!
Rimane un dubbio: in caso di errore giudiziario, come si pone rimedio?
Oltre alla filosofia e alla Logica, molte religioni hanno detto la loro sull'argomento, talvolta argomentando profondamente, altre volte facendo appello a dogmi e comandamenti divini.
A tal proposito, vorrei far presente la mia posizione, facendo luce su un aspetto spesso dimenticato della questione.
Consentitemi di citare il grande poema sacro induista Rāmāyaṇa.
Scritto intorno al IV secolo a.C., il testo è assai lungo: 24 000 versi, divisi in oltre 645 canti, distribuiti in 7 libri.
Volendo sintetizzare in modo irrispettoso, potremmo dire che la vicenda narra di come il dio supremo Viṣṇu si sia incarnato in Rāma per contrastare il demone Rāvaṇa che -forte delle benedizioni di Brahmā e Śiva, dei quali è incredibilmente devoto- ha conquistato gli Inferi, i Cieli e la Terra.
L'ordine cosmico va ristabilito.
Il fattore scatenante è il rapimento di Sītā, la moglie di Rāma, proprio da parte del lussurioso demone con 10 teste, Rāvaṇa.
Questo porterà l'eroe divino a fare un lungo viaggio e a scatenare una guerra che si concluderà con l'uccisione del demone.
A questo punto, c'è un racconto che a molti sembrerà strano.
Rāma decide di andare in eremitaggio perché si dice estremamente pentito del suo gesto e inizia a cantare le lodi dell'avversario: era un ottimo politico, un grande guerriero, un eccezionale devoto, un sapiente, un musicista...
Gli alleati del dio sono esterefatti e non capiscono.
Rāma placidamente spiega: nove delle dieci teste di Rāvaṇa erano malvagie, ma la decima era buona.
Purtroppo uccidendo il demone ha dovuto eliminarle tutte, senza poter fare una cernita.
Quante volte anche noi siamo come gli alleati di Rāma?
Quante volte vediamo una persona e la giudichiamo solo per un suo aspetto, senza indagare sui suoi altri volti?
Questo è un punto di incredibile importanza.
Non si tratta di vuota spiritualità o di filosofia spiccia.
Una possibile applicazione pratica? Il discorso sulla pena di morte.
Un assassino non sarà mai solo un assassino.
Un pedofilo non sarà mai solo un pedofilo.
Un blasfemo non sarà mai solo un blasfemo.
Ovviamente non bisogna sottovalutare il danno sociale né mancare di rispetto alle vittime: i colpevoli vanno severamente puniti.
Bisogna però lavorare per reprimere il lato malvagio e liberare gli altri volti dell'individuo.
Nessuno è irrecuperabile.
Non bisogna perdere di vista l'obiettivo che non può e non deve limitarsi alla punizione.
Questo ovviamente non vuol dire che tutto debba limitarsi a una pacca sulle spalle.
Ci vuole estremo rigore, si può arrivare anche all'asprezza più dura, purché si intraprenda un percorso che sia chiaro anche alla persona da correggere.
Anche una bastonata può essere compassionevole.
§M§